Era Johnny lo Zingaro, ora è un fantasma: “Piango per chi ho ucciso”

Ripubblichiamo questo ritratto dell’8 febbraio 1998 su Giuseppe Mastini, criminale italiano condannato all’ergastolo e oggi  ricercato perché in semilibertà, non si è presentato al lavoro.

NUORO – Piange, sì, piange Johnny lo zingaro, il Dillinger romano, nella stanzetta disadorna e squallida del carcere di Badu e’ Carros: pareti grigie che opprimono l’ anima, porta dipinta di un terrificante color verde chiaro, una tetra luce lattiginosa che entra dall’ unica finestrella. Si arrossano gli occhietti crudeli e lui li asciuga con le sue grosse mani che hanno versato tanto sangue. Piange, ma è solo un attimo, per i suoi 38 anni bruciati, di cui 23 passati dietro le sbarre, per la moglie Elena, bidella, che riesce a vedere di sfuggita solo una volta al mese, sempre sotto sorveglianza in questo bugigattolo da esaurimento nervoso. Piange per la famiglia lontana e forse anche per un’ altra famiglia, quella dell’ agente Michele Giraldi, che ha assassinato a colpi di “357 magnum” nella folle notte di fughe, spari e inseguimenti del 24 marzo 1987. Ai genitori di quel povero poliziotto, ci pensa mai? “Ci penso e anche spesso, mi deve credere. Tante volte ho preso la penna per scrivere ai familiari e chiedere perdono e l’ ho sempre messa giù..Cosa gli dico, eh, cosa gli dico?”.

Giuseppe Mastini ha dietro le spalle una lunga fila di morti ammazzati. Il primo fu un manovale dell’ Atac, Vittorio Bigi, che (quando Johnny aveva soltanto 14 anni) commise l’ errore fatale di dargli un passaggio in macchina e finì con una pallottola in testa, ucciso a freddo per un orologio e qualche spicciolo. Dopo una serie di risse carcerarie, evasioni e catture, nel febbraio 87, uscì in permesso premio e non rientrò più. Pochi giorni dopo, secondo la sentenza definitiva della Cassazione, entrò nella villa dei coniugi Paolo e Veronique Buratti, a Sacrofano.

L’uomo non ebbe scampo: un colpo in fronte, a bruciapelo. Poi, assieme alla sua compagna di allora, Zaira Pochetti, Mastini rapisce una giovane donna e dà il via a una serie di fughe, inseguimenti, conflitti a fuoco. Sequenze da cardiopalma, con centinaia di agenti e carabinieri sempre col dito sul grilletto. Il 24 marzo due poliziotti con una “Panda” tentano di bloccarlo e Johnny reagisce con la solita furia implacabile: spara, vuota il caricatore, uccide Michele Giraldi e ferisce, gravemente, il suo collega.

Verrà catturato poche ore dopo e polizia e carabinieri se lo contenderanno in una zuffa indecorosa, tra calci, pugni e perfino armi spianate. Ma non è finita: Zaira, il 21 dicembre 88, incinta, muore di anoressia, agli arresti domiciliari: pesava 30 chili. Questo è l’ uomo che mi siede di fronte. Grosso (avrà preso almeno 10 chili), un po’ impacciato, il viso squadrato da pellerossa mohicano, i capelli corti, il naso rapace, un maglione fantasia su un paio di jeans, Johnny Mastini è un detenuto che ha girato gran parte delle carceri italiane: Roma, Spoleto, Voghera, Cuneo, Fossombrone.

Viene da una famiglia di Sinti giostrai, ha iniziato bambino a lavorare col padre ma la sua passione sono sempre state le macchine, i motori, la corsa. “Se non fossi finito così avrei potuto essere un buon pilota, mi creda. Ci sapevo fare, alla guida, da quando ho 8 anni”. Di chi è la colpa se è finito così? “In gran parte è mia, non cerco scuse. Ma tante cose non le ho fatte: quel manovale dell’ Atac non l’ ho ucciso io, ho pagato per un altro. E con l’assassinio di Sacrofano non c’entro: non avrei mai fatto una cosa del genere. Tant’ è vero che in primo grado sono stato assolto. Il poliziotto si, quello l’ho ucciso. Ma non volevo. Stavo fuggendo, mi arrampicavo su una rete e lui da dietro m’ ha urlato di fermarmi. Temevo che mi sparasse e così ho puntato alla cieca e bam, bam, bam. Mi sono avvicinato alla macchina con la pistola in pugno e c’ era l’ altro agente ferito che mi ha detto: non mi ammazzare, per favore. Se ero quel mostro che hanno scritto avrei ucciso anche lui invece l’ ho lasciato vivere. In quei giorni ero sempre strafatto di cocaina, non capivo niente. Se non m’ avessero accusato del delitto di Sacrofano mi sarei consegnato e invece, col marchio di assassino addosso, ho continuato a scappare, a rubare automobili, assieme a Zaira, poveretta”.

piccoli, mobilissimi occhi da animale braccato si inumidiscono ancora, anche se Zaira, nel cuore di Mastini, ha lasciato il posto a un’ altra donna: quella che ha sposato nel carcere di Spoleto nel 1992 e che, con estrema difficoltà, lo viene a trovare anche qui in Sardegna. Una coppia che non ha mai potuto scambiarsi neanche un bacio senza lo sguardo vigile di una guardia carceraria. Come passa le giornate? “E’ una vita vuota, noiosa, senza senso. Quando ho potuto ho lavorato: a Fossombrone ho fatto perfino il barbiere. Qui a Badu e’ Carros faccio il piantone: assisto un detenuto invalido. Per il resto, non c’ è nulla di nulla: passeggio in cortile, un po’ di ginnastica per tenermi in forma, guardo la televisione, cerco di leggere qualcosa. Io me ne sto per i fatti miei, cerco di evitare grane con gli altri carcerati perchè questo è un mondo duro, un mondo che ha le sue regole. Se ti mostri troppo remissivo, qualcuno di sicuro cerca di fare il prepotente ma se reagisci rischi di essere punito, non è facile”.

Qualcuno ha detto che lei è stato implicato anche nell’ omicidio di Pier Paolo Pasolini… “Sono tutte scemenze. E’ vero, conoscevo Pino la Rana (Giuseppe Pelosi, condannato per il delitto dell’ Idroscalo ndr) ma con quella storia non c’ entro… Anche Pelosi lo ha confermato. Su di me hanno scritto di tutto: che sono diventato camorrista della Nuova Famiglia, che mi sono messo con quelli dei Nar. Assurdità che mi sono costate care: io tento di tenere buoni rapporti con tutti e basta. Non è semplice, mi creda, specialmente quando non hai una banda, un’ organizzazione alle spalle e spesso sei senza un soldo, neanche gli spiccioli per comprare lo shampo”.

Si sente cambiato? “Sono cambiato. Sono un’ altra persona, dopo tanta galera. Se solo mi dessero il modo di dimostrarlo…Ho chiesto di essere posto in osservazione volontariamente

per dimostrare che ho i requisiti per un permesso. Che cosa posso fare per far vedere che sono diverso, che ho capito il male che ho fatto e me ne pento?” Cosa spera per il futuro? “Un po’ di pace. Solo quello. Riuscirmi a fare una passeggiata su un prato ancora una volta”.

 Fonte:Repubblica      Ciro Di Pietro

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