Sfida Usa alla Cina, nave da guerra punta su Isola di Tritone. Pechino: “Provocazione minacciosa”

Prima incursione dell’era Trump nell’arcipelago conteso. Sullo sfondo, le divergenze nei rapporti con la Corea del Nord di Kim Jong-un. Vertice telefonico tra la Casa Bianca, Xi Jinping e Abe.

PECHINO – L’America di Donald Trump salpa verso la Cina di Xi Jinping ma questa volta la visita non è all’insegna dei sorrisi e degli scambi commerciali, magari con tanto di conflitto di interesse, visto il tappeto rosso che Pechino sta stendendo agli affari della figlia Ivanka, o per imbastire la santa alleanza in grado di fermare la Corea del Nord di Kim Jong-un. No, il cacciatorpediniere Stethem che punta sull’isola di Tritone non è esattamente una nave da crociera, 150 metri di militaristica sfida, trecento persone di equipaggio e missili Tomahawk e altre meraviglie a volontà. E infatti Pechino non può accettare la missione con l’ormai consueta cortesia. “Questa è una provocazione politica e militare” dice chiaro e forte il portavoce del ministro degli esteri, Lu Kang: “La Cina chiede all’America di fermare urgentemente questo tipo di provocazioni che violano la sovranità e minacciano la sicurezza della Cina”.
Sono parole durissime che arrivano mentre Trump e Xi si scambiano non proprio la più cordiale delle telefonate. Nessuno dei big ha fatto sapere se la questione è stata sollevata ma basta il tesissimo comunicato di Pechino per capire che stavolta è questa parte del mondo ad alzare la voce. Al centro delle preoccupazioni c’è un’altra e più importante isola, Taiwan, ma è chiaro che qui tutto è collegato. Di fronte a The Donald che gli chiedeva di impegnarsi di più sulla Corea del Nord, il presidentissimo ha non per niente risposto chiedendo agli Usa di rispettare la politica di “una sola Cina” e non immischiarsi nella questione taiwanese. Il confronto è dunque altissimo alla vigilia dell’incontro che i due terranno al prossimo G20 e proprio mentre Xi si appresta a incontrare in queste ore Vladimir Putin.

Grande è la confusione dunque sotto il cielo e certo non aiuta quella nave che salpa verso Tritone. Anche perché sulla sicurezza nazionale che – secondo Pechino – il blitz della Stethem violerebbe si può anche comprendere l’allarme di qui, visto che è sempre una nave militare: è sulla sovranità che si apre una discussione grande molto ma molto di più del miglio quadrato di Tritone, l’isola che Pechino ha stappato nel 1974 al Vietnam, che contende appunto la sovranità sull’arcipelago delle Paracel insieme a Cina e Taiwan. E non solo per una questione di controllo (strategico) del territorio: oltre a essere ricchissima di riserve energetiche e minerarie, questo specchio d’acqua ospita cinquemila miliardi di dollari di traffici commerciali.

Più contese di così si muore e infatti è da sempre che il mondo guarda con il fiato sospeso a questo pezzo di mare dove una manciata di isole vengono reclamate da un pugno di nazioni. Il fatto è che è il pugno di Pechino, come sempre, a fare notizia, visto che è dai tempi dell’Impero celeste che qui la Cina impera, et divide assai meno spesso, reclamando i diritti non solo sugli scogli già presenti ma adesso, come ha fatto negli ultimi anni, costruendone dal nulla perfino di nuovi, per piazzarci su le proprie insegne. La nave militare si è avvicinata a 12 miglia nautiche, per segnalare la libertà di navigazione che Washington ha sempre difeso da quelle parti e il Wall Street Journal, dopo aver sentito la Navy, ricorda che questo tipo di operazioni vengono solitamente pianificate settimane se non addirittura mesi prima. Eppure le scintille tra i due Paesi rischiano di trasformarsi in fuochi per ora, e fortunatamente, solo d’artificio perché è proprio la tempestività dell’azione militare a far rizzare i capelli ai cinesi.

Primo, si tratta della seconda avventura marina all’insegna appunto della Fonops, acronimo per Freedom of Navigation Operations, da quando alla Casa Bianca si è insediato Donald Trump, sei mesi fa. Secondo, arriva a poche ore da una telefonata che sempre Trump ha concordato con Xi e Shinzo Abe, il leader giapponese, per fare il punto sulla vera emergenza mondiale del momento, cioè la Corea del Nord, all’indomani della visita a Washington del nuovo presidente sudcoreano Moon Jae-in. Terzo, il pattugliamento è solo l’ultima azione di pressing che la Casa Bianca sembra voler fare su Super Xi.

The Donald ha sempre invocato l’azione della Cina per tenere a bada Kim Jong-un che minaccia gli Usa e il mondo con l’atomica: ma prima il presidente ha twittato che la strategia di Pechino non stava funzionando, poi ha dato il via libera a una serie di sanzioni verso banche e persone cinesi accusate di sostenere il regime di Pyongyang, quindi ha fatto perdere la pazienza al nuovo Mao con la vendita di armi per un miliardo e 300 milioni a Taiwan, l'”altra Cina” che non vuole piegarsi al Dragone – non senza averlo invitato a rispettare la libertà di Hong Kong, e avendolo peraltro indispettito inserendo il gigante comunista nella poco invidiabile top ten dei trafficanti umani.

Basterebbe mettere insieme tutti questi puntini per pensare – come fanno per la verità i cinesi molto più che gli esperti americani, pieni di dubbi sulla politica-random di Trump – che dietro ci sia appunto una ben orchestrata strategia di attacco: così come è proprio una linea fatta di trattini, la Nine-Dash Line tracciata decenni fa, che demarcherebbe per Pechino la sovranità su quelle isole contese invece dalle Filippine al Vietnam passando per Brunei e Malesia. Ma come può uno scoglio. E cioè: davvero l’intreccio di potere e miliardi che lega l’America di Donald Trump alla Cina di Xi Jinping può naufragare così facilmente in questo specchio di mare dove una nave Usa sfiora un isolotto?

Fonte:Repubblica

Ciro Di Pietro

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