ALCUNE CONSIDERAZIONI CRITICHE

 

La sentenza qui commentata non appare convincente sotto molteplici profili. Vari elementi non solo di natura testuale e sistematica, ma soprattutto legati alla scelta consapevole del Legislatore, portano a ritenere che il concetto di “continuità aziendale” debba essere inteso in senso oggettivo e non soggettivo, in quanto teso a privilegiare il funzionamento dell’azienda o del suo principale ramo11. Seguendo questo diverso filone interpretativo, perché si configuri la fattispecie di cui all’art. 186-bis l.f. assume rilievo il fatto che l’azienda sia in esercizio (indipendentemente se ad opera dell’imprenditore medesimo o di un terzo), tanto al momento dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, quanto all’atto del suo successivo trasferimento. Questa posizione privilegia l’azienda quale entità socio-economica, rispetto alla garanzia di continuità dell’imprenditore, favorendo in altri termini, la funzionalità dell’impresa più che il mantenimento della conduzione soggettiva: la nozione di “continuità” si amplia ricomprendendo, pertanto, sia la fattispecie della prosecuzione dell’attività in capo all’imprenditore che richiede l’accesso al beneficio del concordato, sia quella della continuità mediata dal trasferimento del complesso aziendale ad un soggetto terzo12. E in tale ottica l’affitto di azienda (prima o dopo la presentazione della domanda di concordato) con la previsione di successiva cessione dell’azienda in esercizio, rappresenta un mero “strumento ponte”, finalizzato ad evitare una perdita di funzionalità e di efficienza dell’intero complesso aziendale. Per meglio inquadrare la ratio normativa è utile ricordare che l’art. 186-bis l.f. è stato introdotto dall’art. 33, primo comma lett. h) (rubricato ”Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale”) del D.L. n. 83/2012, convertito in Legge n. 134/2012, proprio “con l’intento di favorire i piani di concordato preventivo finalizzati alla prosecuzione dell’attività d’impresa”. Scopo del Legislatore sembra, quindi, quello di privilegiare la salvaguardia del funzionamento dell’azienda o di un suo ramo attraverso la prosecuzione dell’attività a prescindere dallo strumento giuridico utilizzato e quindi anche mediante l’affitto13. Il favor che il Legislatore dimostra verso questa tipologia di concordato (rispetto a quello liquidatorio), è stato chiaramente esplicitato con il recente D.L. del 27.6.2015 n. 83, convertito dalla L. 6.8.2015, n. 132, che ha imposto alla sola fattispecie liquidatoria la percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari nella misura del venti per cento e differenziato la possibilità di sottrarsi al rischio di una proposta concorrente, prospettando ai chirografari una percentuale di soddisfacimento attestata al trenta per cento per il concordato con continuità, a fronte del quaranta per cento del concordato con cessione dei beni. Appare evidente, quindi, la volontà di agevolare la conservazione degli organismi produttivi (in qualsiasi modo questo risulti realizzabile), sul presupposto che la perdita della continuità aziendale normalmente azzera l’avviamento in tutte le sue componenti incidendo sul valore del patrimonio dell’impresa, sia con riguardo ai beni immateriali, sia per i valori d’uso dei beni strumentali, senza contare la vanificazione degli investimenti e le sopravvenienze passive derivanti da eventuali penali per inadempimenti contrattuali. Per converso, escludere la compatibilità dell’affitto “ponte” con il concordato in continuità limiterebbe l’applicazione dell’art. 186 bis l.f. alle sole fattispecie di continuità “diretta”: conseguenza invero antitetica rispetto all’intento di favorire la salvaguardia e la continuità delle aziende, la cui fragilità economica nella fase di risanamento, peraltro, è ad evidenza paradossalmente accentuata nelle ipotesi in cui la continuità sia di tipo soggettivo, anziché coinvolgere una terza parte spesso capace di subentrare nella gestione in condizioni di maggior stabilità economica e finanziaria. La preferenza per le soluzioni che privilegiano la sopravvivenza dell’azienda in crisi a prescindere dal soggetto al quale venga demandato l’esercizio dell’attività, risulta ancora più accentuata nello schema di disegno di legge delega elaborato dalla Commissione ministeriale istituita dal Ministero della Giustizia con decreto del 28.1.2015 per la riforma del diritto concorsuale (c.d. “Commissione Rordorf”), ove all’art. 2, lett. g) è previsto espressamente che la continuità aziendale abbia luogo «anche per il tramite di un diverso imprenditore»14. Principi ripresi, in maniera ancor più radicale, nel testo del disegno di legge delega n. 3671-bis (“Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”) approvato dalla Camera dei Deputati, laddove è previsto di «dare priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un’idonea soluzione alternativa»(art. 2, comma primo, lettera g).15 A ben vedere anche la lettera dell’art. 186-bis primo comma l.f. non osta alla soluzione interpretativa che prescinde dall’elemento della soggettività nella conduzione dell’azienda. È infatti prevista la «cessione dell’azienda in esercizio» ad un soggetto terzo: la norma nella formulazione attuale non menziona l’affitto, ma esso – come detto – rappresenta un semplice strumento (c.d. “ponte”) finalizzato alla successiva cessione alla stregua delle fattispecie esplicitamente elencate a fianco della ipotesi di continuazione diretta16. In quest’ottica l’uso dell’argomento testuale per escludere l’affitto d’azienda dal novero degli atti negoziali destinati a realizzare la continuità aziendale appare quasi una forzatura, anche considerando la scadente tecnica legislativa del Legislatore della riforma del 2012. Non appare decisivo, peraltro, il fatto che la norma contenga un’esplicita disciplina di alcune situazioni di continuità che si possono presentare quali, ad esempio, l’obbligo di indicare in modo analitico i costi ed i ricavi della prosecuzione dell’attività, elemento che assume certamente rilievo nella continuità soggettiva, ma diviene marginale nell’affitto d’azienda a terzi. Trattasi di una regolamentazione di talune fattispecie che non può automaticamente limitarne il novero.

Per quanto concerne l’aspetto del rischio di impresa sembra possa facilmente affermarsi che, anche in caso di affitto, lo stesso ricada sui creditori concorsuali17. Appare infatti incontestabile che il rischio d’impresa continui a gravare, seppur indirettamente, sul soggetto in concordato e che l’andamento dell’attività incida, in ultima analisi, sulla fattibilità del piano18. Su questo punto quindi la pronunzia della Corte giuliana qui commentata non appare persuasiva; anzi, la circostanza menzionata dalla Corte (l’ipotesi dell’insolvenza dell’affittuario) conferma che il tema del rischio non è dirimente per escludere l’applicabilità della norma di cui all’art. 186-bis l.f. in caso di affitto “ponte”, atteso che – in ogni caso – il rischio (direttamente o indirettamente) viene di fatto sopportato – in caso di affitto dell’azienda- sempre dal debitore in concordato. Le argomentazioni sin qui riportate d’altronde, sembrano oggi essere condivise dalla giurisprudenza maggioritaria19. Invero alcuni Tribunali paiono aver mutato il proprio orientamento in senso estensivo proprio a seguito della riforma del 201520. Si è così tentato di superare la distinzione, formulata da giurisprudenza e dottrina, tra i casi in cui il contratto di affitto di azienda era stato stipulato successivamente al deposito della domanda di concordato preventivo oppure antecedentemente21. Distinguo che, se accolto letteralmente, potrebbe portare a conseguenze paradossali, per esempio lasciando l’azienda in stand-by, maturando perdite in attesa del deposito del ricorso ex art. 161 sesto comma l.f. e della procedura competitiva ex art. 163 bis l.f. per l’affitto, con possibile detrimento dei valori immateriali, soltanto per vedere applicata la disciplina più favorevole di cui all’art. 186-bis l.f.22.

Avv. Marco Greggio

 

 

 

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