Il vertice informale dei ministri dell’Interni, su cui l’Italia ripone molte speranze per dare nuovo impulso alla suddivisione degli sforzi nell’emergenza. Ma trovare soluzioni concrete sarà difficile .
ALLINN – Il difficile equilibrio dell’Europa sui migranti: aiutare l’Italia senza farsi carico dei migranti direttamente. E’ una sfida, una scommessa, un azzardo per alcuni versi che qualcuno alla fine comunque dovrà pagare quello che i ministri dell’interno dell’Unione Europea affronteranno nella riunione di Tallinn, la sede in cui l’Italia ha più volte ribadito di cercare risposte.
Oltre al ‘no’ già dichiarato da Parigi e Madrid alla richiesta di aprire i propri porti ai migranti salvati dalle organizzazioni non governative nel Mediterraneo centrale, anche il Belgio si è detto indisponibile: “Non credo che apriremo i nostri porti”, ha chiosato il ministro per l’Asilo e politica migratoria belga Theo Francken arrivando all’incontro. Una posizione condivisa anche dall’Olanda e soprattutto dalla Germania: “Non sosteniamo la cosiddetta regionalizzazione delle operazioni di salvataggio”, ha detto il ministro dell’Interno Thomas de Maiziere. Roma è decisa a rilanciare, attaccando questa volta sul versante dell’operazione Triton ma con lo stesso obiettivo: condividere peso e responsabilità delle vite salvate.
Qualche passo avanti, ancorché timido, a Tallinn però ci sarà: intanto dovrebbe essere avallato politicamente, con l’accordo dei ministri dei ventotto, il “piano d’azione” che la Commissione Europea ha presentato martedì a strasburgo. E poi c’è la constatazione che sulla crisi migratoria gli Stati membri, divisi e incapaci di solidarietà vera nei confronti dell’italia con una condivisione degli oneri “all’interno” dell’Ue, sono almeno uniti e sempre più convinti sulla strategia esterna per affrontare il fenomeno e ridurre i flussi: con iniziative come il training e il rafforzamento della guardia costiera libica, gli accordi di cooperazione e di riammissione con i paesi di origine e di transito, gli incentivi a tunisia e libia per convincerli a creare delle proprie zone di ricerca e soccorso in mare.
Fonte:Repubblica
Andrea Vetromile