Vasco infiamma i 220.000 de”Modena Park”

Il concerto dei record è un’emozione intensa. Vasco comincia con ‘Colpa d’Alfredo’ (che contiene la strofa su Modena Park) e poi cavalca tre ore di musica con quaranta tra i brani della sua quarantennale carriera.

MODENA – Il colpo d’occhio è impressionante. Il Modena Park è una colossale arena per 220.000 anime rock, e l’annuncio della partenza arriva con le note altisonanti e kubrickiane di Also sprach Zarathustra, un sole rovente che passa sugli schermi e precede l’arrivo in scena del Blasco, giacca gialla e cappellos curo, su un palco che sembra un transatlantico, larghissimo, alto come un palazzo, esplosivo.

“Questo è un richiamo tribale” dice Vasco, che di queste cose se ne intende, e parte Bollicine, potente, ironica, sprezzante, un dileggio di tutto il mondo degli inganni, della pubblicità, dei trucchi con cui ci vogliono fregare, a cui contrapporre ferocia, sarcasmo, arte del disinganno, le parole del commercio rivoltate contro il commercio stesso: “chi non vespa più e si fa le pere” canta, ironizzando su vecchi slogan. Vasco si diverte, si vede, vuole godersi fino in fondo la festa, ride, prende per il culo quando dice che “la coca cola se la porta a scuola” è un attore consumato, allude, sbeffeggia, ma è subito capace di fare sul serio, di cambiare registro in pochi secondi e blandire il lato più tenero e malinconico della enorme platea con uno degli inni più amati, la dolente e disperata Ogni Volta, una di quelle canzoni semplici e perfette, nate tra notti stralunate e albe ghiacciate, melodie in cui la gente può riversare il proprio bagaglio di emozioni, per intero. E per continuare su tenerezza, memorie, fragilità, chiama sul palco Gaetano Curreri, che fu tra i primi a credere nel giovane talento di Vasco e che con lui ha continuato a scrivere, di tanto in tanto. Evocano insieme Anima fragile, dopo che Curreri al piano ha ricordato antichi frammenti di canzoni.

Il palco è una macchina perfetta, un ideale Luna Park del rock, una girandola di immagini enormi e sparate che amplificano il volto del Komandante, ma esaltano anche i dettagli del lessico rock: chitarre, microfoni, mani che scorrono su tastiere, i legni della batteria, e Vasco questo Luna Park lo sfrutta fino in fondo, incita il pubblico, lo fa ballare, ricorda gli anni Ottanta, (“avete caldo? Avete la febbre, avete la febbre del sabato sera…”). È il momento di ballare e parte con Una splendida giornata, poi cambia bruscamente e ripesca un pezzo “scorrettissimo” come Ieri ho sgozzato mio figlio (“per sbaglio, credevo fosse un coniglio”) che nelle sue scalette è apparso pochissimo, e infine celebra il trionfo dell’edonismo, del piacere puro, col già noto Delusa medley, quattro o cinque canzoni mescolate in una fantasia sfrenata di rock’n’roll. Sul godimento non c’è da fare sconti, mai. Appare sul palco Maurizio Solieri che per tanti anni è stato il chitarrista di Vasco. La gente al buio diventa una massa di piccole luci trasformando il parco in un giardino di luminescenze, mentre Vasco si illanguisce nel sogno di Vivere una favola.

Fonte:  Repubblica

Ciro di Pietro

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