Ciclismo, Tour de France al via: sfida senza favoriti, l’Italia cala l’asso Aru

ROMA – C’è il nome da battere, ma non c’è l’uomo da battere. Il Tour de France, che sabato da Dusseldorf inizierà a scrivere il capitolo numero centoquattro della storia, si presenta come uno dei più incerti degli ultimi anni. Perché il nome da battere, Chris Froome, già vincitore di tre edizioni tra le quali l’ultima, stavolta ha avuto un approccio alla Grande Boucle assai sbiadito rispetto al solito. Ogni vittoria a Parigi dell’allampanato britannico nato in Kenya, aveva infatti avuto una incetta di antipasti, soprattutto in quel giro del Delfinato da sempre cartina al tornasole. Stavolta invece niente, sporadicamente qualche frullata ossessiva di quelle che lo hanno reso famoso, ma poco altro. E che dire del suo recente tradizionale avversario, Nairo Quintana. Il colombiano al Giro d’Italia ha mostrato una apertura alare più da passerotto che da condor, determinato a parole nel programmare una doppietta Giro-Tour appannaggio solo dei grandissimi, ma timido nelle rasoiate in salita e sempre in soggezione nei confronti del passistone Tom Dumoulin. Un nome, e che nome, è anche quello di Alberto Contador: un creativo che sa sorprendere, capace ad esempio in passato grazie alla fantasia di buttare giù Purito Rodriguez da una Vuelta già vinta. I risultati del primo scorcio stagionale però indicano un pistolero dalle polveri bagnate. Nel limbo poi, c’è anche Richie Porte (segnalato in ottima condizione), uno che tra i favoriti ce le metti sempre, ma sempre corri il rischio di toppare la profezia. Non la pensa così proprio Chris Froome, che parla di ”Porte uomo da battere”.

Ma se questo fosse il Tour delle grandi novità? E qui è lecito agitare la bandiera italiana –o quella dei quattro mori come apparsa sui progili social– per Fabio Aru. Saltato il Giro d’Italia per un infortunio al ginocchio, il talento dell’Astana si presenta in condizioni di forma smaglianti. Schegge incoraggianti erano emerse al Delfinato, dove pur non avendo puntato alla classifica, aveva fatto vedere un paio di scatti in salita di quelli che fanno la differenza. Poi la conferma al campionato italiano della scorsa domenica,non tanto nella differenza fatta in salita -dove rispetto agli altri contendenti aveva comunque qualcosa in più -, quanto nel difendere il vantaggio in discesa ed incrementarlo in pianura. Il Tour del resto è l’università del ciclismo, ed Aru ha iniziato a prendere lezioni lo scorso anno, quando arrivato forse con troppa pressione, ha finito per uscire in malomodo dalla classifica. Si parlò di crisi di fame e freddo in quel di Morzine, ma quale ne stata la causa, dalla sconfitta è probabile che il sardo abbia imparato molto. Caliamo un tris di accenni cabalistici per i quali è lecito crdere in lui. Primo: se non si fosse fatto male, la sua stagione sarebbe stata probabilmente incentrata solo su Giro e Vuelta. Secondo: la vittoria che ha rotto il ghiaccio arrivata al campionato italiano, proprio come Nibali tre anni fa. Terzo, la Germania: il Tour vi partirà per la quarta volta, la prima da Colonia nel 1965 coincise con la vittoria di un ragazzo di belle speranze che quella corsa la fece quasi per caso, Felice Gimondi.

Altro fattore importante per il sardo potrebbe essere il percorso. Lui a cronometro, pur essendo migliorato, non è un drago, ed i km contro il tempo sono ridotti al lumicino: 13 nella prima a Dusselforf, 23 in quella finale a Marsiglia. E la salita, dove invece eccelle, non manca: per la prima volta dopo 25 anni saranno toccate tutte e 5 le catene montuose (Vosgi, Jura, Pirenei, Massiccio Centrale e Alpi), con  tante tappe interessanti. L’arrivo della quinta di La Planche de Belles Filles, la durissima nona (occhio al Mont Chat, conosciuto al Delfinato), alla diciottesima sul mitico Col d’Izoard, per la prima volta arrivo di tappa, tanto per citarne alcune. Il rovescio della medaglia, nonché arma a doppio taglio, per Aru potrebbe essere il nemico in casa. L’Astana infatti può contare anche su Jakob Fuglsang, uscito in maniera straordinaria dal Giro del Delfinato conquistato proprio in extremis.

Aru e Fuglsang sarebbero una novità. Sarebbe invece un ritorno, dopo anni di oblio, se la Marsigliese riecheggiasse sui Campi Elisi dopo 32 anni dal quel 1985 dell’ultimo squillo del pokerissimo di Bernard Hinault. Da allora i francesi hanno vissuto strazianti delusioni, come gli 8” scippati da Greg Lemond a Laurent Fignon e tante eterne illusioni, da Virenque (che comunque sul podio ci saliva), a Rolland, creando qua e là eroi occasionali come Thomas Voeckler, tra l’altro ancora al via, e le sue facce tratrali. Stavolta, pur non dimenticando Thibaut Pinot, però potrebbe essere diverso con Romain Bardet. Lo scorso anno, nella tappa di St.Gervais, ha messo le basi per uno splendido podio a Parigi con una di quelle azioni antiche, poetiche, in cui il termine auricolare come cordone ombelicale con l’ammiraglia suona come una bestemmia. I francesi sperano su di lui per tornare a recitare grandi poesie, ma anche l’Italia è terra di poeti. La partita è aperta.

 

Fonte: Repubblica.it

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