L’Iraq annuncia la fine dello Stato islamico

Giuseppe Ruggieri

Sull’onda dell’euforia, forse il primo ministro iracheno Haider al-Abadi ha peccato di ottimismo. Ma il suo storico annuncio non è lontano dal vero. «Il ritorno della Moschea al-Nouri (a Mosul, ndr) e del minareto al-Hadba alla nazione irachena segna la fine di Daesh (l’Isis, ndr) come falso Stato o come entità falsa». Poco dopo la tv irachena ha riportato la dichiarazione del portavoce dell’esercito nazionale, il generale Yahya Rasool. «Il loro Stato fittizio è caduto».

Indebolita, orfana di molte città, in grandissime difficoltà a reclutare nuovi miliziani, l’Isis, comunque, non è certo distrutta. Ma la capitolazione della seconda città dell’Iraq, roccaforte dello Stato islamico nel Paese, condannerà l’organizzazione terroristica più ricca del mondo a tornare alle origini: vale a dire un’organizzazione terroristica frammentata, clandestina, ma ancora capace di prolungare l’instabilità e potenzialmente paralizzare un Paese suon di attacchi kamikaze, rapimenti e imboscate. Quello che accadeva ai tempi di Abu Musab al-Zarqawi.

Il premier iracheno ha comunque ragione. In Iraq lo Stato islamico è ormai senza Stato. Prima di Mosul erano cadute Tikrit, Ramadi, Falluja, e altri centri abitati di rilievo.
Dopo una dura battaglia durata otto mesi, le forze irachene hanno riconquistato oggi la grande moschea di Mosul, ridotta in macerie il 21 giugno, quando, accerchiati delle forze irachene, i jihadisti avevano fatto esplodere – ha accusato il Governo di Baghdad – il monumento simbolo della città decapitando il suo minareto. Proprio da quella moschea, nel giugno del 2014, Abu Bakr al-Baghdadi aveva annunciato al mondo la creazione dello Stato islamico, autonominandosi califfo di tutti i musulmani.

Strada per strada, casa per casa, le forze governative irachene stanno ora avanzando faticosamente in quell’ultimo chilometro quadrato della Città vecchia di Mosul, in cui gli ultimi jihadisti dell’Isis – si parla di qualche centinaio —si sono trincerati . Per l’esercito iracheno è solo questione di giorni prima di parlare della liberazione finale. Ma è motivo di grande preoccupazione la sorte di 50mila civili ancora intrappolati in quel coacervo di piccole stradine controllate dai terroristi. Senza cibo, senza medicinali, senza acqua potabile, rischiano ora di essere utilizzati come scudi umani.
La vittoria a Mosul, e la riconquista della Grande Moschea, ha peraltro un significato altamente simbolico: è stata definitivamente smontata la leggenda dell’invincibilità di quel Califfato che, durante la sua inarrestabile offensiva dell’estate 2014, era davvero apparso invincibile.
Il prossimo obiettivo dei militari sarà liberare le altre città minori controllate dall’Isis in Iraq: Tal Afar (le operazioni sono già inziate) ed Hawija.
Ma dopo la caduta di Mosul è indubbio che i jihadisti dell’Isis faranno ancor più fatica a reclutare nuovi miliziani. Al di là del significato simbolico della riconquista della Moschea al-Nouri, è questo, forse, il risultato più importante.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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