Il piano di Kohl per l’Europa ha ancora qualcosa da insegnare

Giuseppe Pino Ruggieri

“Der Dicke ist weg”, “il ciccione se n’è andato”, cantavano i sostenitori di Gerhard Schroeder quando nel 1998 le elezioni avevano deposto il cancelliere politicamente più longevo della Germania. Dopo sedici anni al potere, Helmut Kohl aveva perso. Un periodo e un uomo che non si dimenticano nella coscienza condivisa di un popolo.

L’altra cosa che non si scorda è come oggi in Germania sia cancelliera la donna che Kohl chiamava “mein Maedchen”, “la mia bambina”: la “bambina” sta correndo per il suo quarto mandato. Se dovesse ottenerlo e completarlo, raggiungerebbe il suo mentore politico in termini di anni di governo. Tra di loro solo la breve parentesi dei due governi Schroeder, dal ’98 al 2005. Angela Merkel e Helmut Kohl sono due personaggi simili. Tanto che fu proprio la Merkel che scelse di allontanare il suo partito da Kohl quando quest’ultimo era risultato coinvolto in uno scandalo di mazzette. Una mossa che Kohl non le avrebbe più perdonato. Tra i punti in comune tra i due, oltre a una sensibilità sopra la media per la politica, c’è sicuramente la sicurezza che i tedeschi amano e cercano tutte le volte che si recano alle urne: anche stavolta, i commentatori dicono che potrebbe essere la carta vincente della Merkel contro Schulz. I due cancellieri condividono anche una grande passione per l’Europa, la creatura politica di Kohl.

È stato proprio Kohl a barattare il potente marco tedesco per la riunificazione tedesca all’inizio degli anni novanta, ottenendo come risultato un’Europa cementata dalla moneta unica. “Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due” raccontano abbia detto Giulio Andreotti in quell’occasione. Ma i tempi erano ormai maturi e Kohl fece l’unica scelta possibile: il presidente francese François Mitterrand non aveva esitato a porre il veto contro una Germania unita, che ai suoi occhi sarebbe diventata una nazione troppo potente nel cuore dell’Europa. Unica soluzione, un accordo su un grosso passo avanti nelle politiche d’integrazione europee: l’unione monetaria. Il programma non si completò però secondo i piani di Kohl, Mitterrand accelerò i tempi e scavalcò la fase di integrazione politica che Kohl avrebbe preferito anteporre all’introduzione della moneta unica.

Se quindi oggi in Europa si usa l’Euro è in parte merito di Helmut Kohl, che decise di sacrificare la potenza commerciale del marco per ottenere l’accettazione e l’integrazione nel quadro europeo della neonata Germania unita. Oggi, i tedeschi rimangono tra i popoli più innamorati dell’idea di Europa. Secondo una recente indagine dell’eurobarometro ben il 77% di loro si considera cittadino europeo. Anche la cancelliera non perde occasione per ripetere quanto sia importante essere parte di un’Unione forte. Resta però in difficoltà per quanto riguarda le responsabilità che porta con sé la potenza commerciale che è oggi la Germania in ambito europeo: da un lato non si propone come guida, dall’altro di fatto regola le finanze di tutta l’Ue e punisce chi trasgredisce. Un paradosso che è il risultato di numerose componenti. Sicuramente gioca un ruolo importante il pesante fardello storico che i tedeschi portano con sé, ma il grande ostacolo è e resta l’impasse in cui si trova l’Unione. Troppo unita economicamente, soprattutto grazie alla moneta unica, per separarsi come vorrebbero gli antieuropeisti in tutti i Paesi europei, ma troppo poco unita politicamente per avere il peso a cui potrebbe ambire a livello mondiale. Forse, dopotutto, il piano di Kohl ha ancora qualcosa da insegnare.

Fonte: L’Huffington Post

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