Diane Lane una vita per il cinema: “Dopo i supereroi posso fare di tutto”

LOS ANGELES – Per Warren Beatty era il paradiso, per 007 – come cantava Madonna – la morte. Ad attendere Diane Lane nel debutto alla regia di Eleanor Coppola, invece è Parigi. Paris can wait (Parigi può attendere) sarà in sala il 15 giugno distribuito da Good Films, presentato agli eventi speciali del Biografilm Festival che insieme a Peter Greenaway, Piera Degli Esposti e Gloria Steinem quest’anno dedica il premio Celebration of Lives alla documentarista di casa Coppola. Per gli aficionados: moglie di Francis, madre di Sofia, Roman e Gian-Carlo, zia di Nicholas Cage. “”Eleanor ha girato bellissimi documentari come Viaggio all’inferno, il dietro le quinte di Apocalypse Now, ma non si era spinta al road trip e alla fiction” racconta Diane Lane. “Prima delle riprese mi ha semplicemente detto: ‘Abbandonati’. Là fuori ci sarà sempre un pubblico contro i light movies, e da artista sono pronta a pagare il prezzo della mia libertà”. Al centro della commedia, Anne (Lane), donna di mezza età, chic, sola e incompresa. La figlia ha lasciato casa per frequentare l’università; il marito, un infimo produttore di Hollywood (Alec Baldwin), passa le giornate al telefono e le chiede di trovare i calzini mentre fa scouting di location per il prossimo film. Un giorno, Anne decide di lasciar perdere un jet privato, diretto a Budapest, e di farsi accompagnare da Cannes a Parigi in macchina. Il conducente è Jacques (Arnaud Viard), uno dei più cari amici francesi del marito, businessman e bon vivant. Lei è ansiosa di arrivare a Parigi entro un paio d’ore, giusto in tempo per fare un po’ di shopping prima di tornare in California, ma il suo chauffeur le regala un giro turistico tra ristoranti quattro stelle Michelin, arte, architetture, panorami e flirt. Tutto inquadrato al dettaglio da Eleanor Coppola e attraverso gli scatti fotografici di Anne che, prima o poi, smetterà di guardare il Rolex e dà retta al suo autista: sì, Parigi può attendere. E chissà che non scocchi l’amore…

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Diane, la Coppola ha scritto la sceneggiatura basandosi sulla sua esperienza. Lei cosa ha messo di proprio?
“Dopo quarant’anni di carriera – ho 52 anni e ho cominciato a recitare a 14 con Una piccola storia d’amore al fianco di Laurence Olivier – posso dire che tutti, non solo gli attori, credono di essere esattamente come il mondo li definisce. I suoni, i sapori, la routine, i viaggi: fa tutto parte della percezione di sé, e naturalmente è un falso. Noi non siamo quello che percepiamo. Mi è servito ricordarlo per dar vita al personaggio di Anne e capire la sua solitudine e voglia di avventura”.

Anne scatta parecchie micro-fotografie. Le piace la fotografia? Si concentra sui particolari?
“Con i cellulari, Instagram e le diverse app, la fotografia non è più quella di dieci anni fa. Ognuno di noi può imbrogliare e finire in un museo di foto. Non occorre più calcolare la luce, per esempio. È un’era in cui basta salvare il momento, catturarlo, filtrarlo, ‘postarlo’. È come se ci dicessimo che tradire è fantastico. Non lo è? Un tempo avrei detto di sì, oggi devo fare i conti con insicurezza e vulnerabilità che non pensavo di avere.

In un momento del viaggio, in radio, ascoltiamo il compositore francese Erik Satie; in un altro visitiamo il Musée Lumière a Lione…
Paris can wait mette a confronto non solo due culture diverse – americana e francese – ma ci riporta dritti al senso dell’osservazione. Forse lo abbiamo un po’ perso. Io sono sempre stata attenta alle differenze, a non dare nulla per scontato. In mezzo al buon cibo e al vino, nel film ti rendi conto che il colonialismo e il patriottismo ruotano attorno ad un unico elemento: cuisine. E dato che sto parlando con un italiano so che non occorre aggiungere altro sul valore del cibo”.

A proposito, non le sembra che, in un’ora e mezza, di cibo ce ne sia troppo?
“Eleanor voleva scandalizzare lo spettatore con l’abbondanza. È quasi imbarazzante, volgare. Ma non abbiamo inventato nulla con questo film, abbiamo solo registrato ciò che già c’è. Che sia un mondo privilegiato o meno, sta allo spettatore scegliere di unirsi ai personaggi mentre si godono la vita oppure farsi da parte e giudicarli. È un esperimento. Io sono una di quelle persone che osserva senza preconcetti. Di recente sono stata giurata al Tribeca Film Festival e mi sono resa conto di aver conservato lo stesso atteggiamento che avevo da bambina, quando i miei genitori mi portavano al cinema a New York. Non conoscevo la trama, il cast, la durata. Non leggevo critiche. Non prendevo brochure. Era una scelta consapevole: permettevo al film di invadermi e di sfidarmi. Le aspettative inquinano il giudizio. Ora però non voglio passare come novella Pollyanna…!”

Accennava alla sua infanzia. La sua carriera, in realtà, è cominciata a sei anni, come membro de La Mama, una compagnia teatrale avant-garde.
“Non ho mai viaggiato tanto in vita mia, ho “mappato” il mondo. Non conosco altri bambini di sei anni che abbiano calcato i palcoscenici più importanti, dalle Americhe all’Europa, a terre esotiche sconosciute. Che fortuna! Non sottostavamo al sindacato, eravamo off-off Broadway. Nessuna regola. Ecco perché i minorenni come me potevano lavorare. I miei genitori mi hanno dato un grande supporto e si sono affidati alla fondatrice de La Mama, Ellen Stewart. Era a tutti gli effetti la mia vera mamma. E il teatro, una famiglia. Ho recitato in Sicilia, Venezia, Atene, Libano, Iran… Cinque show a settimana, senza aereo. Autobus e vecchie carrozze”.

Lei è membro dello Screen Actors Guild, il sindacato americano che rappresenta oltre 150mila attori di cinema e televisione.
“Non solo, faccio anche parte dell’associazione Actors’ Equity per il teatro. In America è piuttosto marcata la differenza tra attori che si trovano dalla parte del sindacato e chi invece resta fuori. Un po’ come accade tra fazioni politiche, democratici e repubblicani…”

Che ne è stato di ‘Hillary’, la miniserie in cui doveva interpretare Hillary Clinton?
“La storia sarebbe dovuta iniziare la mattina dopo lo scandalo Monica Lewinsky. Avremmo visto il risveglio di Bill e Hillary nella Casa Bianca. NBC ha cancellato tutto prima che Hillary diventasse la prima donna in corsa per le presidenziali, probabilmente perché un progetto del genere ti obbliga a schierarti. Non credo che una serie come Hillary possa influenzare il voto degli americani. Speravo aprisse un dibattito. Troppo tardi ormai. A posteriori, direi che la scelta di annullarlo è stata giusta”.

Ha sempre alternato romanticismo (‘A Walk on the Moon’) ed erotismo (‘Unfaithful’, nomination all’Oscar), film indie (‘Trumbo’) e blockbuster d’autore (‘La tempesta perfetta’, ‘L’uomo d’acciaio’). È vero che si è ritirata dal cinema all’età di 19 anni?
“Avevo bisogno di una pausa. Nel ’79 George Roy Hill, il regista di Butch Cassidy, mi sceglieva come co-protagonista di Una piccola storia d’amore, Francis Ford Coppola mi reputava la sua attrice preferita – da Rusty il selvaggio a I ragazzi della 56ª strada – e i giornali parlavano di me come la nuova Grace Kelly. È stato un rischio mettere uno stop perché la macchina di Hollywood non ti aspetta mica. Puoi perdere popolarità, lo Zeitgeist muta. Oggi non sento più la pressione di una volta, credo che invecchiare sia confortevole. A 19 anni gli interessi in gioco sono enormi, tutti si aspettano il massimo. Mi sono difesa mantenendo uno sguardo circospetto. Non è un business per malati di controllo”.

Ma come è sopravvissuta? E, soprattutto, com’è riuscita a infilare tre canestri di fila al Sarasota Opera House?
“Un canestro e la forza di volontà a Hollywood vanno di pari passo. Credo siano stati mamma e papà, i miei hobby, la sensibilità a tenermi coi piedi per terra. E ho sempre cercato di occuparmi di altro all’infuori della carriera. Mi sta a cuore il pianeta. C’è un tempo per essere ambiziosi e c’è un tempo in cui il tuo ruolo è quello di servire una causa più grande”.

A 18 anni fu ospite al talk show di Johnny Carson e disse: “Ho fatto il bucato. Ecco cosa ho fatto per il mio compleanno”. Oggi cosa farà?
“Sono una donna in trasformazione. E come il personaggio del film di Eleanor Coppola, dopo due matrimoni (uno con Josh Brolin, l’altro Christopher Lambert, ndr.), una carriera piena e un nuovo film di supereroi, Justice League, posso fare di tutto. Aspettatevi sorprese”.

 

Fonte: Repubblica.it

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