Da New York a Tesla, città, aziende e Stati: si allarga il fronte Usa dei «ribelli» anti-Trump

New York – Sono l’altra America. I volti del Paese che si ribella a Donald Trump e al suo schiaffo al mondo. Decine di sindaci, a cominciare dalla città di Pittsburgh invocata dal Presidente come simbolo della nazione da proteggere strappando l’accordo globale sul cambiamento climatico. E governatori di grandi stati, da New York alla California a Washington State, che hanno stretto un inedito patto contro l’effetto serra. Ancora, ecco aziende vecchie e nuove, dalla General Electric a Tesla. E un network trasversale di località, università e imprenditori ispirato dal miliardario Michael Bloomberg, ad oggi senza nome ma con una chiara missione: farsi interlocutore alternativo all’Onu, armato di un piano per contribuire a Parigi.

All’indomani dello strappo della Casa Bianca si sono mobilitati direttamente loro, questi Stati Uniti paralleli, per raccogliere il testimone lasciato cadere da Trump, per rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni. È stato un diluvio di prese di posizione che ha trovato eco anche nell’opinione pubblica. Febbrili tweet hanno diffuso il discorso notturno in inglese del Presidente francese Emmanuel Macron, con la sua bruciante risposta a Trump: l’invito agli scienziati americani a lavorare con l’Europa per «fare grande il pianeta». Mentre ex statisti di casa quali il Segretario di Stato di Barack Obama, John Kerry, hanno denunciato un presidente che parla solo alla sua ristretta “base” repubblicana, finora compatta alle sue spalle compresi il leader del partito.

Soprattutto, però, c’e stata la ribellione di chi – nell’opposizione democratica ma non solo – qualche potere immediato per agire ce l’ha. Tra i 61 sindaci dissidenti, il primo cittadino di New York City Bill de Blasio ha preannunciato un ordine esecutivo per pianificare il rispetto degli impegni di Parigi. Il suo collega di Pittsburgh, in Pennsylvania, ha ricordato a Trump che non intende affatto fare marcia indietro sull’ambiente. Simile impegno accomuna ben 20 Stati americani su 50 che hanno adottato propri target sulle emissioni, in linea se non più aggressivi della riduzione concordata in ambito Onu e pari al 26%-28% entro il 2025.

L’asse nato tra California, New York e Washington State, che hanno tenuto a battesimo la United States Climate Alliance, è di particolare rilievo: rappresenta una fetta enorme dell’economia americana e delle sue punte più avanzate, da Silicon Valley a Silicon Alley. Un influente contrappeso alle scelte dell’amministrazione: «Siamo pronti alla battaglia», ha detto il governatore Jerry Brown della California invocando ulteriori adesioni alle best practices contro le emissioni.

Brown – il cui stato vanta un Pil da 2.500 miliardi, da solo il sesto al mondo – ha indossato senza esito il mantello di ambasciatore informale di quest’altra America: è partito alla volta della Cina per negoziati sull’ambiente e parteciperà a Bonn alla Conferenza sul Cambiamento climatico organizzata sotto l’egida delle Nazioni Unite. La sua California fa da apripista quando si tratta di ambiente: è impegnata a tagliare le emissioni del 40% entro il 2030 e dell’80% entro il 2050.

Brown – il cui stato vanta un Pil da 2.500 miliardi, da solo il sesto al mondo – ha indossato senza esito il mantello di ambasciatore informale di quest’altra America: è partito alla volta della Cina per negoziati sull’ambiente e parteciperà a Bonn alla Conferenza sul Cambiamento climatico organizzata sotto l’egida delle Nazioni Unite. La sua California fa da apripista quando si tratta di ambiente: è impegnata a tagliare le emissioni del 40% entro il 2030 e dell’80% entro il 2050.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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