Opec, nuovi tagli alla produzione: nove mesi in più

MILANO – Altri nove mesi di tagli alla produzione per cercare di dare una chiara svolta al mercato del petrolio, che fino a questo momento non ha dato segnali del tutto convincenti di ripresa. Secondo quanto filtrato dalle riunioni di Vienna, riportato dalla Dow Jones, ci sarebbe l’accordo tra i rappresentanti dei Paesi produttori riuniti nel cartello dell’Opec, capitanato dall’Arabia Saudita e fino ad ora appoggiato dall’esterno da altri grandi produttori, tra i quali la Russia: il greggio verrà pompato a ritmo ridotto fino al marzo 2018. La riunione si tiene a sei mesi di distanza dall’accordo che aveva messo insieme per la prima volta 24 Petrostati (quelli del cartello e altri undici) per tagliare di 1,8 milioni di barili (da 34 milioni iniziali) al giorno la produzione di oro nero, nel tentativo di far risalire il prezzo sottraendo materia prima dal mercato.

Un intento che ha dato i suoi frutti solo in parte: dopo una fiammata iniziale, i prezzi del greggio hanno faticato a confermare il loro rialzo. A giocare contro la tendenza all’insù del barile, dal quale dipende buona parte dei bilanci pubblici dei Paesi coinvolti, è stata anche la ripresa della produzione americana: con i prezzi saliti del 20% in pochi giorni, per i produttori Usa è tornato conveniente riaprire i rubinetti, che erano stati chiusi visti i costi di produzione più alti della media e la necessità di avere prezzi più alti per giocare (senza perdere in partenza) la partita energetica internazionale. La produzione a stelle e strisce è salita a 9,32 milioni di barili al giorno la scorsa settimana, una crescita di 550mila quest’anno e il picco dall’agosto 2015: significa che quasi un terzo dell’effetto voluto dall’Opec è spazzato via dalla produzione americana. Negli ultimi dieci mesi, il numero degli impianti shale in funzione è salito da un minimo di 262 ad oltre 700. Paradossalmente, la mossa voluta dal cartello ha rimesso in campo i principali nemici sullo scacchiere internazionale.
Opec, nuovi tagli alla produzione: nove mesi in più
L’andamento dei prezzi del petrolio: il rialzo dopo la prima stretta alla produzione Opec (in rosso), è poi svanito. E’ stato necessario aprire a nuovi tagli per far risalire il barile

Lo stesso bisogno di estendere le misure di contenimento della produzione, annota l’analista Alexandre Andlauer a Bloomberg, mostra la difficoltà dell’Opec di abbattere le riserve di petrolio costituite negli ultimi anni. Secondo le stime, infatti, per farlo potrebbe essere necessario tutto il 2017, se non oltre. Quando, la scorsa settimana, il Wti è tornato a scendere ampiamente sotto 50 dollari al barile, da Mosca e Ryad ci si è affrettati a far capire che altri tagli sarebbero presto arrivati sul tavolo. Oggi, prima dell’inizio della riunione, il ministro del Petrolio saudita, Khalid al Falih, ha escluso tagli più profondi; ma se si considera che il mercato ha già prezzato la mossa sui nove mesi, non è da escludere che gli investitori restino delusi se mancassero riferimenti alla disponibilità a valutare misure ulteriori. Non a caso, i future sul greggio sono deboli.

Anche Nizam Hamid di WisdomTree annotava nei giorni precedenti la riunione che pur “se l’Opec dovesse raggiungere un accordo per nuovi tagli alla produzione, ciò potrebbe comunque non essere sufficiente a creare un contesto di maggiore stabilità dei prezzi dell’oro nero”. Gli investitori ne sono ben consapevoli: “I dati dell’United States Commodity Futures Trading Commission (Cftc) mostrano infatti che gli impegni degli operatori sui future del petrolio sono significativamente diminuiti”. Alla luce del tira e molla tra Usa e Opec, in sostanza, lo strategist si aspetta che il cartello mantenga una linea “disciplinata e organizzata”, che potrebbe “causare un rialzo del range di negoziazione del petrolio, da meno di 50 dollri a 50-55”. Pierre Melki di Ubp ricorda che anche in seno all’Opec ci sono possibili motivi di frizione: due nazioni – esenti all’accordo ed esentate dall’estensione – come Nigeria e Libia stanno ripristinando la loro produzione e il freno alla produzione irachena era stato reso possibile eseguendo diverse manutenzioni di pozzi prima del previsto, una tecnica che sarà impossibile replicare in caso di estensione dell’accordo.

Senza dimenticare un altro fattore che può complicare la situazione: la progressiva debolezza delle stime sulla domanda globale, testimoniata dal recente rapporto dell’Agenzia internazionale dell’Energia che ha evidenziato segnali di calo in Paesi precedentemente molto solidi come l’India, gli Usa, la Germania e la Turchia.

 

Fonte: Repubblica.it

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