‘Tredici’, quei ragazzini inquieti in cerca di verità che fanno discutere gli Usa

NEW YORK – Al posto delle due torri infuocate (9/11), ci sono due polsi che si aprono (se lo slash dell’11 settembre cadesse, resterebbe solo il numero d’emergenza, 911). L’hashtag è lo stesso: #NeverForget. I compagni di banco di Hannah Baker non sono lontani dai fauni cattivi di Twin Peaks, nascondono tutti un segreto, twittano foto del suo armadietto coperto di biglietti di addio, mentre in sottofondo sfuma More Than Gravity di Colin & Caroline ed entra in campo la voce di Hannah (Katherine Langford), incisa su nastro prima di togliersi la vita. È lei, dall’altra ‘parte’, a smascherare uno ad uno i bulli della scuola e a narrare, da subito, i fatti di Tredici, la serie creata da Brian Yorkey, drammaturgo/librettista affascinato dalla malattia mentale e dal disagio giovanile, sin dal musical Next to Normal (premio Pulitzer).

13 Reasons Why, on demand su Netflix da fine marzo, è lo strano caso di un teen-drama sul suicidio premeditato che diventa hit generazionale. Quei sette nastri – lato A e lato B – destinati all’unico compagno di cui Hannah si sia mai fidata, sono il suo diario. La playlist dei tredici che lei ritiene responsabili e che ora devono pagare. Anche se il destinatario, Clay (Dylan Minnette), quasi non sa come si ascolta un’audiocassetta postuma: “Dov’è il tuo aggeggio per la musica?” chiede al padre. A proposito di hashtag, si contano oltre 11 milioni di tweet a cominciare dall’episodio pilota, più forum e pagine Facebook a tema. Per una volta, però, il gigante dello streaming deve fare i conti con l’enorme seguito di ragazzini, dopo che una pioggia di critiche si è abbattuta sullo show, con l’accusa di glorificare il suicidio senza nemmeno offrire alternative.
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Netflix ha scelto quindi di aggiungere un avviso allo spettatore in apertura dell’ultima puntata, la più forte delle 13, insieme ad altre. E saranno prese nuove misure di cautela attorno alla serie, fa sapere la compagnia, al lavoro sulla stagione 2. Con il romanzo di Jay Asher (Mondadori) da cui è tratto Tredici, le polemiche praticamente non esistevano. In tv, invece, nel ruolo di produttrice esecutiva a metterci la faccia è Selena Gomez, ex popstar di Disney Records e bandita per Harmony Korine (Spring Breakers): “La mia vita privata si allinea agli eventi di Tredici”, racconta. “Quando siamo entrati in produzione io passavo un brutto, brutto periodo. Sono sparita per novanta giorni in riabilitazione, dove ho incontrato molti ragazzi che si sono aperti e hanno condiviso alcuni dei problemi che trattiamo nella serie”. La Gomez non ha un buon parere della Rete: “Non sopporto i social media, quell’imposizione forzata del dover apparire… E mi fa paura la percezione della gente. Volete qualcosa di vero? Questo show è reale. È quanto di più realistico ci sia là fuori”. Non è ottimista sulla gioventù di oggi: “Purtroppo i ragazzi non sono interessati al disagio. Anzi, devono sempre spingersi a vedere qualcosa che li spaventi, che li terrorizzi. Mi piacerebbe essere un buon esempio per la mia generazione. Ho scelto di essere presente alle riprese del finale; un disastro vedere quella scena prender vita, perché ci sono passata”.

Secondo una nota raccolta da Hollywood Reporter, Netflix fa sapere che “mentre molti dei nostri membri interni reputano lo show un elemento prezioso per iniziare un dialogo con i familiari, abbiamo anche raccolto una crescente preoccupazione da parte di chi ritiene che la serie tv debba offrire dei consigli”. A prendere una posizione netta sull’ipotesi di censurare le sequenze non adatte ai minori, è il creatore Yorkey, che spiega: “Per quanto siano difficili da guardare, dovrebbero rimanere difficili da guardare. Farla facile, vorrebbe dire vendere bene qualcosa che non volevamo vendere”; a lui si aggiungono anche gli attori Alisha Boe, Brandon Flynn e Miles Heize, che dicono: “Se spazzate via la scena del suicidio, il pubblico penserà che, per la protagonista, è stato un gioco da ragazzi togliersi la vita”. Lo spauracchio di Netflix si chiama ‘effetto-contagio’: in un paese come l’America, dove 33 stati non hanno ancora una legge che tuteli le discriminazioni, la catena dei suicidi tra giovani lasciati soli, persi, potrebbe diventare una moda social come quella di Hannah. Intanto, al di là dello schermo, secondo un sondaggio intitolato The Trump Effect, le denunce degli insegnanti di episodi di bullismo, dovuti alla razza, all’etnia e legati alla retorica di Donald Trump, sono in aumento.

Fonte: Repubblica.it

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