Usa, la lotta dei giudici per bloccare Trump: “Decida rispettando le leggi”

IL GIUDICE di San Francisco che ha bloccato la decisione di Trump di tagliare i fondi alle cosiddette “città santuario” che proteggono gli immigrati illegali è soltanto l’ultimo magistrato a chiedere al nuovo presidente di rispettare fino in fondo la legge nel prendere le sue decisioni.

L’ordinanza di Trump che blocca i fondi alle “città santuario” è del 25 gennaio, una decisione presa quindi nello stesso periodo in cui Trump decise di bloccare i visti per i cittadini di 7 paesi mediorientali. Il congelamento dei visti fu il primo episodio contro cui i magistrati americani fecero valere il loro ruolo contro l’Amministrazione.

La prima ondata di decisioni dei giudici arrivò dal 25 gennaio, una settimana dopo l’insediamento. I giudici di New York, del Massachusetts, della Virginia e di Washington iniziarono ad emettere provvedimenti contro il bando ai visti.

Il vero paladino di questa battaglia contro Trump fu il giudice federale dello Stato di Washington James Robart perché prese una decisione che ebbe effetto a livello federale. La sera di venerdì 27 gennaio, mentre Trump era appena atterrato in Florida per il primo weekend da presidente nel resort di Mar-a-Lago, Robart confermò le decisioni che erano già state prese da alcuni giudici di Stato. A quelle decisioni si era opposta l’Amministrazione, ma Robart invece respinse le obiezioni del governo e confermò il blocco dei divieti di Trump a livello nazionale.

In sostanza dopo la firma dell’ordine esecutivo da parte del presidente, lo Stato di Washington ne aveva denunciato gli effetti discriminatori e il danno significativo che la decisione procurava ai residenti. Il Minnesota si era poi accodato e i due Stati avevano chiesto un’ingiunzione restrittiva temporanea affinché la loro denuncia potesse essere valutata, incentrata tra l’altro sulla possibilità che sezioni chiave del provvedimento siano incostituzionali.

Trump attaccò pubblicamente il magistrato, come al solito con un tweet: “L’opinione di questo cosiddetto giudice, che di fatto rende impossibile l’applicazione della legge nel nostro Paese, è ridicola e deve essere rovesciata”. Secondo Trump, “è un grosso guaio quando un Paese non è più in grado di dire chi può e chi non può andare e venire, soprattutto per ragioni di sicurezza”. Da allora però il bando contro i 7 paesi musulmani di fatto è rimasto bloccato.

Robart è un giudice di 70 anni che ha sempre difeso e lavorato come volontario per i profughi ed è convinto che la giustizia debba venire in soccorso dei più bisognosi. Nato a Seattle 70 anni fa, dopo essersi specializzato alla Georgetown Law School, dove era anche direttore del giornale dell’università, cominciò a lavorare nello studio legale Lane Powell Moss & Miller, di Seattle, di cui è diventato partner. La svolta arrivò nel 2004 quando l’allora presidente George W. Bush lo nominò giudice federale. Ma oltre alla sua carriera di giudice Robart si è sempre dedicato alla sua grande passione, il volontariato. È stato presidente e finanziatore dell’associazione Seattle Children’s Home, che si prende cura di bambini con disagi mentali e ha lavorato anche con un’altra ong, la Children’s Home Society di Washington, che si occupa di famiglie indigenti.

Il 16 marzo un altro giudice federale blocca anche la versione più “soft” del bando di Trump: quella volta è stato Derrick Watson, un magistrato federale delle Hawaii, a decidere che la sospensione dei visti dei cittadini musulmani per 90 giorni era una discriminazione religiosa che viola la Costituzione americana. Il divieto, inoltre, avrebbe danneggiato il settore turistico delle Hawaii e la possibilità di accogliere studenti e lavoratori stranieri. Anche allora Trump reagì con furia, definendo la sentenza di Watson “un abuso di potere senza precedenti: questa sentenza ci fa sembrare deboli, il che non è, credetemi”.

Trump aveva firmato il nuovo travel ban il 6 marzo, per superare i problemi creati dall’ordine esecutivo di gennaio, che oltre a causare il caos negli aeroporti americani aveva scatenato proteste di massa prima che a Seattle il giudice Robart ne congelasse gli effetti.

 

Fonte: La Repubblica

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